07/02/2024
Offendere su Facebook: la Cassazione risponde

La libertà di parola su Facebook, e altri social network, si scontra con la possibilità di incappare in atteggiamenti che possono sfociare in reati perseguibili dalla legge, basti pensare all'offesa, all'insulto protratto per giorni, e a tutti quei comportamenti in qualche modo lesivi della persona come la diffamazione.

Ma in quali casi si verifica il reato contro la reputazione altrui? Cerchiamo di fare chiarezza.

Che siano scritte o orali, la libertà di espressione e la libertà di parola sono due diritti fondamentali sanciti dalla nostra Costituzione, oltre ad essere tra i più importanti principi da tutelare a salvaguardia dell’essere umano e delle sue pacifiche relazioni interpersonali.

In effetti, entrambe le libertà rappresentano il confine entro cui può realizzarsi una comunicazione corretta, in quanto inclusiva delle opinioni altrui, che possono anche essere dissonanti con le nostre.

Le opinioni espresse da altri, dunque, hanno una valenza oggettiva, al pari delle proprie credenze personali. Questo dato ci consente di esprimere liberamente un’opinione e di criticare, se vogliamo, una impostazione ideologica difforme dal nostro pensiero originario.

Di converso, può capitare che gli altri si ritrovino a criticare le nostre idee, il nostro credo politico o religioso, o il nostro stile di vita.

La libertà di parola e l’offendere su Facebook

La piena libertà d’espressione, sancita dalla nostra Costituzione, vale anche ai tempi dei Social Network, Facebook incluso! Il più noto e utilizzato Social Network, espressivo della nostra vetrina di vita, è dunque un mare aperto nel quale è possibile esprimersi liberamente, ma anche un campo minato a cui prestare attenzione.

In linea generale, ognuno di noi riesce a circostanziare adeguatamente alcune affermazioni ivi prodotte. Ci rendiamo conto che molte espressioni usate in Fb non sono gravi e vengono fatte quasi per gioco, ma può capitare che ci sia un conflitto tra opinioni diverse.

Tale conflitto può addirittura sfociare in offese o insulti che devono essere considerati espressioni tutelate dalla legge (Costituzione, art. 21), a meno che non violino i propri diritti (in questo caso bisognerebbe valutare se siamo di fronte ad un'espressione offensiva o ad una minaccia).

Quando c'è un'espressione di offesa o di insulto nei confronti di un'altra persona ci si può trovare davanti ad un atto punibile dalla legge, con riflessi di rilevanza penale perché violante il diritto alla vita e alla dignità umana (art. 2 Cost.); inoltre, in alcuni casi, l’offesa può anche rappresentare un delitto contro l'onore (art. 595 C.P.).

Offendere su Facebook: cos’è la diffamazione

La diffamazione è un crimine che consiste nel danneggiare la reputazione di una persona, sia essa un privato o un personaggio pubblico. Non è necessario essere un'azienda o un personaggio pubblico per essere diffamati, e la protezione offerta dalla legge si applica allo stesso modo a tutte le persone, indipendentemente dal loro status.

La legge protegge il diritto di ogni persona a godere di buona fama, così come il diritto alla libertà di espressione. Questo significa che è possibile scrivere liberamente sui social media usando la propria opinione, ma anche che bisogna evitare di offendere gratuitamente altre persone, senza che ci sia la possibilità di conseguenze dirette sul loro stato mentale.

Affinché si verifichi la diffamazione, devono essere soddisfatti quattro elementi:

  • la dichiarazione diffamatoria deve essere stata pubblicata (resa pubblica);
  • la dichiarazione diffamatoria deve riferirsi all'attore;
  • la dichiarazione diffamatoria deve essere falsa;
  • la dichiarazione diffamatoria deve causare un grave danno alla reputazione dell'attore.

La diffamazione nell'era di Facebook

Nell'era digitale, la piattaforma di Facebook si è trasformata in un agorà moderna, dove i flussi di comunicazione si intrecciano incessantemente, delineando nuovi orizzonti per il diritto e la giurisprudenza.

Il fenomeno della diffamazione, un tempo confinato alle pagine dei giornali o ai corridoi delle istituzioni, oggi trova terreno fertile nell'ambiente virtuale dei social media.

L'avvento di Facebook ha ridefinito i contorni della diffamazione, introducendo nuove sfide per il sistema legale.

L'articolo 595 del codice penale italiano, che disciplina il reato di diffamazione, non fa distinzioni sul mezzo attraverso cui il reato viene commesso, applicando dunque le stesse normative anche ai contenuti pubblicati sui social network.

In questa cornice, un legale affronta la diffamazione su Facebook con l'acume necessario a discernere tra la libertà di espressione e il diritto alla reputazione.

Se un individuo dovesse pubblicare affermazioni lesive dell'onore o del decoro di un'altra persona, tali azioni potrebbero rientrare nella sfera del reato di diffamazione, con tutte le conseguenze penali previste dalla legge.

La giurisprudenza ha affrontato casi in cui, ad esempio, la semplice condivisione di un post diffamatorio è stata considerata una forma di endorsement dell'offesa, ampliando così la responsabilità anche agli utenti che diffondono il contenuto senza essere gli autori originali del messaggio diffamatorio.

I legali sottolineano che l'intento diffamatorio non è sempre necessario affinché si configuri il reato: la negligenza o l'imprudenza nell'usare parole lesive possono essere sufficienti per configurare il reato.

L'anonimato o l'uso di profili falsi non offre scampo, poiché le autorità possono risalire all'identità del trasgressore attraverso indagini digitali.

L'importanza di una consulenza legale diventa quindi cruciale sia per le vittime di diffamazione che per coloro che vengono accusati di tale reato.

Un avvocato specializzato in diritto digitale può fornire assistenza sia nella fase preventiva, per evitare la pubblicazione di contenuti potenzialmente lesivi, sia nella fase repressiva, per intraprendere le azioni legali necessarie a tutelare i diritti lesi.

La diffamazione ai tempi di Facebook si presenta dunque come un campo minato, dove ogni parola può avere ripercussioni significative. L'era digitale richiede un'evoluzione anche nell'approccio legale, dove la saggezza e la prudenza nell'esprimersi devono essere le bussole che guidano gli utenti nel vasto mare dei social media.

Offendere sui Social Network come Facebook: Una Pratica Illecita

In un'epoca in cui la vita quotidiana si intreccia inestricabilmente con il mondo digitale, l'uso dei social network come Facebook è diventato parte integrante della nostra esistenza.

La facilità con cui possiamo esprimere opinioni e sentimenti in questi spazi virtuali ha però un rovescio della medaglia: l'offesa online.

L'offesa sui social, un fenomeno noto come cyberbullismo o diffamazione online, non è una questione da prendere alla leggera. Si tratta di una condotta che può avere serie ripercussioni legali.

Quando un utente pubblica commenti offensivi o denigratori nei confronti di un'altra persona, si potrebbe configurare un reato ai sensi del diritto penale.

La diffamazione è definita come l'atto di comunicare dichiarazioni false che possono danneggiare la reputazione di un individuo. Se tali dichiarazioni vengono fatte pubblicamente, come su un social network, la legge può intervenire per sanzionare il comportamento illecito.

Nel contesto di Facebook, un commento può essere considerato offensivo se include insulti, affermazioni ingiuriose o se diffama l'onorabilità di una persona. Questo genere di atti può rientrare nei reati di diffamazione a mezzo stampa, secondo quanto previsto dall'articolo 595 del codice penale.

È importante sottolineare che la rete non è una zona franca: le leggi che regolano la comunicazione e il rispetto altrui valgono anche online.

Inoltre, la responsabilità non ricade soltanto su chi scrive l'offesa, ma anche su chi la diffonde, tramite la condivisione o l'espressione di approvazione. Le conseguenze per chi commette tali reati possono essere gravi, incluse sanzioni pecuniarie e, in casi estremi, la reclusione.

La giurisprudenza italiana ha già affrontato diversi casi di offese online, stabilendo un precedente importante: i social network sono equiparati a qualsiasi altro mezzo di comunicazione. Pertanto, l'anonimato o l'uso di pseudonimi non esonera dall'assunzione di responsabilità per le proprie parole.

È fondamentale per gli utenti essere consapevoli delle implicazioni legali del loro comportamento online. Prima di pubblicare qualsiasi contenuto su piattaforme come Facebook, è importante riflettere sull'impatto delle proprie parole e sul rispetto dei diritti altrui.

Gli esperti del settore consigliano vivamente di adottare una comunicazione rispettosa e di pensarci due volte prima di premere "invio". In caso di dubbi sulla liceità di un commento o di una pubblicazione, è sempre preferibile astenersi dal pubblicare e, se necessario, consultare un legale.

Il rispetto reciproco deve essere il pilastro portante dell'interazione sui social network. Ricordiamo che la libertà di espressione trova il suo limite nella tutela dell'onorabilità e della dignità altrui.

L’orientamento della Cassazione riguardo all’offesa su Fb

La principale difficoltà affrontata dalla Corte di Cassazione in questa materia è quella di dover adattare la dottrina consolidata nel campo delle comunicazioni tradizionali alle nuove tecniche di diffusione e comunicazione, posto che ci troviamo di fronte a un settore in continua evoluzione.

Con Sentenza n. 37596 pubblicata il 9 luglio 2014, la Cassazione ha stabilito che: "il giudice penale deve valutare ogni caso singolarmente e verificare, da un punto di vista soggettivo, se gli autori hanno avuto una chiara intenzione di danneggiare la persona o hanno voluto umiliarla in pubblico".

Inoltre, ha specificato che "se la pena non è un reato ma solo una sanzione amministrativa come ad esempio una multa o l'interdizione dai pubblici uffici, sarà sufficiente che un agente dimostri che il suo comportamento è stato intenzionalmente aggressivo".

La Corte Suprema, pertanto, ha deciso che: "anche se è provato che un soggetto ha offeso un'altra persona sulla propria pagina o profilo su Facebook o altre piattaforme di social media, questo non costituisce un reato a meno che non ci siano prove oggettive che ciò che è stato detto è stato considerato vero e quindi offensivo da alcune persone".

In una precedente Sentenza n. 32081/2013, è stato osservato che "l'attività svolta attraverso il social network Facebook, che consente di creare pagine personali attraverso le quali gli utenti possono pubblicare scritti, fotografie, commenti e messaggi finalizzati alla diffusione di contenuti e informazioni di ogni genere, deve essere considerata una forma di espressione di opinioni ai sensi dell'art. 21 Cost.".

Questa frase è riportata anche da un'altra sentenza della stessa Cassazione (n. 4887/2016), che recita:

"Se fosse diversamente - cioè se non fosse possibile considerare tale condotta come un esercizio ai sensi dell'art. 21 Cost - sarebbe concesso a chiunque pubblichi su una pagina creata sui social network una serie di affermazioni diffamatorie nei confronti di terzi, con conseguente alterazione e distorsione della loro immagine e reputazione, un ingiustificato vantaggio rispetto a chiunque altro comunichi con modalità diverse tali affermazioni; ciò avrebbe anche un effetto distorsivo della stessa libertà di espressione".

La giurisprudenza italiana ha affrontato con crescente frequenza il tema della diffamazione sui social network, adattando i principi tradizionali del diritto penale alla realtà virtuale delle piattaforme online come Facebook.

La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 8898 del 4 marzo 2021, ha ribadito alcuni concetti fondamentali relativi alla diffamazione commessa attraverso i social network.

In primo luogo, la Corte ha chiarito che la mera percezione soggettiva di essere stato provocato non è sufficiente per configurare la causa di non punibilità prevista dall'art. 599 del codice penale.

È necessario, piuttosto, che vi sia stata una provocazione oggettiva, una violazione delle regole della civile convivenza che giustifichi la reazione diffamatoria.

Inoltre, per quanto riguarda il diritto di critica, la Corte ha sottolineato che questo deve rispettare i limiti della veridicità dei fatti, della pertinenza degli argomenti e della continenza espressiva. Nel caso specifico considerato dalla sentenza, la Corte ha valutato che era stato superato il limite della continenza espressiva, configurando così un attacco ingiustificato all'onore e alla reputazione della persona offesa.

La sentenza ha anche affermato un principio importante riguardo al contesto dei social network: nel valutare la continenza espressiva, il giudice deve considerare non solo il tenore del linguaggio ma anche le modalità di esercizio della critica.

La persona offesa non deve essere esposta a ludibrio o al pubblico disprezzo, e l'offesa non deve risolversi in un inaccettabile "argumentum ad hominem".

Queste indicazioni della Corte di Cassazione evidenziano la necessità di un approccio bilanciato e responsabile nella comunicazione online, riconoscendo i social network come spazi pubblici soggetti alle medesime norme che regolano le interazioni nella società civile.

Questa sentenza e altre simili contribuiscono a delineare un quadro giurisprudenziale sempre più definito che impone agli utenti dei social network una maggiore consapevolezza e cautela nell'esprimersi online, al fine di evitare conseguenze legali derivanti da comportamenti diffamatori.

Come evitare di offendere su Facebook: consigli utili

Fai attenzione quando scrivi e pubblichi commenti sui social network. Evita insulti, provocazioni e battute offensive. Se sei arrabbiato con qualcuno, pensaci due volte prima di condividerlo online.

Gli estratti dalla realtà non sono considerati diffamazione. Per esempio, "secondo me X non sta andando bene al lavoro" non è diffamatorio perché è solo un'opinione. Tuttavia, se si scrive "X sta facendo male al lavoro perché è incompetente", può essere considerato diffamatorio perché si sta esprimendo un giudizio sulla realtà (cioè, X è incompetente al lavoro).

Non è necessario nominare qualcuno esplicitamente per commettere diffamazione. Se si parla in generale di un gruppo di persone senza nominare specificamente nessuno all'interno di quel gruppo, può ancora essere considerata diffamazione finché la persona colpita dalle vostre parole le prende personalmente.

Il fatto che la persona possa essere identificata abbastanza facilmente non ha importanza; ciò che conta è se si sente offesa dal messaggio in questione.

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